lunedì 20 aprile 2015

Nascosto tra gli scaffali

La curiosità era troppa. Così stamattina ho preso il primo volo e, dopo essere atterrato a Bergamo, ho raggiunto in autostop Negrar.
Come in altre occasioni, ho preferito dissimularmi: arrivato alla biblioteca comunale con largo anticipo, mi sono confuso tra le colonne di libri e ho atteso. In quelle due ore, oltre a sfogliare qualche testo degno di nota, mi sono chiesto come sarebbe andato l’appuntamento sull’etica di L’uomo il suo interrogarsi e il senso del meraviglioso, che ormai era arrivato alla sua terza puntata. 
Qualcuno si chiederà come mai non abbia voluto palesare la mia presenza. Presto detto: sono stato professore di Claudia Maschio ai tempi in cui frequentava l’università e, tra noi, è rimasto un rapporto di reciproca stima intellettuale. Una stima quasi eccessiva da parte sua, devo dire, e quindi temevo che, sapendomi lì, mi avrebbe ceduto il passo, e io volevo sentire cosa aveva da dire lei, non le solite cose che posso raccontarmi benissimo anche da solo.
Poco a poco sono arrivati tutti, relatori e pubblico.
Franco Ceradini, che non ho avuto l’onore di conoscere di persona, ha introdotto l’argomento parlando di Kant e, per contrappunto, di Hume. Con grande scioltezza, si è mosso dall’uno all’altro, portando anche esempi pratici di dove andava a cozzare la filosofia del primo, rivolgendo accese simpatie al secondo.
Cerchiamo di capirci: Kant è un razionalista, Hume un empirista. Stiamo parlando di fantasmi del passato. Oggi nessuno potrebbe credere solo nella ragion pura del primo o affidarsi ciecamente al dato osservativo del secondo. Si sa che la conoscenza si muove amalgamando le due cose, non fosse altro perché la matematica è fondamentalmente razionale e la scienza se ne avvale per testare i risultati delle osservazioni empiriche. 
Certo, quando si ha a che fare con le argomentazioni morali, sembra di muoversi in quel terreno di nessuno che sono i valori, ossia elementi che non si prestano a osservazione alcuna.
O almeno Hume sosteneva questo. Non a torto: perché – e qui entriamo nel vivo dell’intervento di Claudia Maschio – effettivamente non possiamo derivare i valori dalle nostre osservazioni. Come minimo per una questione logica, giacché nelle conclusioni comparirebbe un elemento (l’obbligo morale) non presente nelle premesse.
Ma il comportamento umano è riducibile solo a ciò che possiamo osservare? O quel che dobbiamo osservare comprende anche il non direttamente osservabile, ossia intenzioni, scopi, motivazioni che stanno dietro un’azione?
Ed è vero, come sosteneva Hume, che l’agire morale si basa sui sentimenti e non sulla ragione?

Non voglio anticiparvi troppo, anche perché so che il blog di Vocifuoriscena intende pubblicare un articolo con l’intero resoconto della conferenza. 
Mi soffermo solo su ciò che più mi ha colpito. A un certo punto, Claudia Maschio ha proposto una sua personale, sebbene meditata, scala di valori.
Cos’è una scala di valori è facile da immaginare: uno pone al vertice il valore che ritiene superiore a tutti gli altri e, a scendere, quelli che seguono, in un preciso ordine.
Nascosto dietro gli scaffali, poco a poco iniziavo a comprendere dove Claudia stesse andando a parare: ovviamente, non stava proponendo dei dogmi, ma un esempio di razionalità morale basata sull’esperienza. Ossia, un’applicazione del metodo scientifico all’etica. 
«Metto al vertice il rispetto della vita, in tutte le sue forme» ha esordito, «e ben sapendo che non ci sia alcun fondamento per farlo. È l’esperienza della convivenza civile, di quel che funziona, a suggerirmelo. In qualche modo, i nostri valori diventano prioritari vuoi perché ci sono stati trasmessi come veri, vuoi perché, dopo averli messi in discussione, li abbiamo ancora una volta riconosciuti, oppure sostituiti con altri che ci sembravano più adeguati.»
Ovviamente, ho estrapolato qua e là dai suoi discorsi. Vi sto riportando il succo. E su qualche punto sto ancora meditando, ma è questo il bello delle proposte coraggiose e intelligenti: ti dànno qualcosa di gustoso in cui affondare i denti. 
Al primo posto della scala di valori c’era il rispetto della vita, al secondo l’onestà/verità, al terzo il rispetto per la libertà propria e altrui, al quarto il rispetto per la legge e, all’ultimo gradino, il bon ton (che – come ha specificato Claudia – in realtà non ha nulla a che vedere con l’etica).
Sulle prime, a tutti questa scelta è sembrata arbitraria. Poi, più il discorso andava avanti, più si capiva che – se davvero si trattava di un esempio – era un esempio coi fiocchi. 
Sempre nascosto tra gli scaffali ho ascoltato il resto dell’esposizione, complimentandomi con me stesso per l’ottimo lavoro fatto su di lei quando ancora era una ragazzina, sebbene una ragazzina con un piglio già molto particolare.
E, via via che proseguiva, vedevo sempre più trionfare, nell’applicazione di giudizi pratici, la razionalità unita all’esame dell’esperienza: non ha risparmiato Breivik, responsabile di un’inutile quanto feroce strage in Norvegia, e con lui Giardiello, pluriomicida nel tribunale di Milano, e Lubitz, solo per restare a fatti di cronaca recente. Ma soprattutto si è scagliata contro le guerre, specie se condotte in nome della pace, citando i versi di Bertolt Brecht:

La guerra che verrà
non è la prima. Prima
ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima
c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
faceva la fame. Fra i vincitori
faceva la fame la povera gente
egualmente.

E non sono mancati gli accenni alla letteratura, con la visione di alcuni spezzoni tratti da una rappresentazione teatrale di Delitto e castigo.
«Dostoevskij era un ottimista. Nel senso che Rodion Raskol’nikov, dopo il suo terribile crimine, si pente. Si tortura interiormente e finisce per consegnarsi nelle mani del commissario Porfirij di propria volontà. Nella realtà, purtroppo, pochi si pentono delle atrocità compiute e vivono il tormento pieno del rimorso, magari chiedendosi – come fa Raskol’nikov – cosa possa riscattarli.»
Un’umanità senza possibilità di recupero?
Secondo Claudia Maschio forse sì. Ma non per questo smetterà di andare avanti per la sua strada, seppure senza rivoluzioni. Questo mi ha confidato quando alla fine mi ha scoperto: «Motivi per essere sfiduciati ce ne sono fin troppi. Sai, Oliviero, perché tengo questi incontri di filosofia, e gratis? Perché spero che quelle poche persone che vengono ad ascoltare siano stimolate a usare le loro teste. Hume aveva ragione. Ma il suo, alla resa dei conti, si configura come un suicidio intellettuale».
«Un suicidio intellettuale?» le ho chiesto io.
«Hume aveva ridotto l’etica alle impressioni del momento, ai sentimenti, alle passioni. Ma solo la razionalità, quella tanto cara a Kant, può dare una svolta all’etica, altrimenti ci ritroviamo ad assorbire dogmi, non valori. Un dogma è qualcosa che hai ereditato dall’esterno, che hai assorbito per osmosi, da cui sei condizionato senza una tua vera scelta. Un valore è tale solo se ci pensi sopra, se lo hai rivoltato come un guanto prima di farlo tuo, trasformandolo in un imperativo categorico nelle tua vita.» 
Poi qualcuno l’ha chiamata, lei voleva presentarmi, ma io le ho fatto cenno di no: molto meglio restarmene tra gli scaffali e accomodarmi per la notte su un divanetto, visto che, tra una cosa e l’altra, avevo dimenticato di prenotare un albergo. Fretta non ne avevo, e in biblioteca c’erano un sacco di bei libri per passare il tempo.

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