mercoledì 7 ottobre 2015

Non è un vento amico, recensione di M. Eugenia Capodicasa

Pubblichiamo volentieri la recensione del libro Non è un vento amico, di Vincenzo Zonno, che ci ha inviato la signora Maria Eugenia Capodicasa.





Lettura affascinante, questo Non è un vento amico. Apparentemente, un mystery storico: siamo in Russia, più precisamente sul confine prussiano, a metà dell’Ottocento, e il protagonista, un giovane ufficiale zarista, viene chiamato a ricoprire un ruolo consolare e allo stesso tempo a risolvere il mistero della crudelissima morte del suo predecessore, colpito dalla mano dell’Angelo dell’Abisso. Ciò premesso, la vicenda si muove in direzioni inconsuete. Nonostante le premesse, Non è un vento amico non è un thriller: il protagonista non è un uomo d’azione ma un intellettuale in uniforme e i tempi del romanzo sono scanditi della contemplazione, delle emozioni, dal ritmo delle stagioni e dal suono delle campane. E anche dai tempi dell’amore, qui visto come conoscenza, desiderio e istinto di protezione, e come coscienza che la persona amata sarà sempre, nell’intimità della sua anima, qualcosa di irraggiungibile e mai davvero posseduto: la cifra finale dell’amore. La “lentezza” tuttavia non nuoce affatto al romanzo, che, anzi, si lascia leggere agevolmente, complice una scrittura misurata, leggera, pur senza affettazione. Zonno non ha fretta di portarci nel cuore dell’intrigo (ingegnosissimo!), che è intrigo politico e insieme religioso, e sorprese e colpi di scena non mancheranno di certo.
Un romanzo che avvolge e sorprende, elegante, ricco di chiavi di lettura. Forse, a cercargli dei difetti, chi cerca l’azione a tutti i costi potrebbe trovarlo un po’ lento nella parte centrale, dove il piacere della descrizione sovrasta l’interazione dei personaggi: ma sospetto che anche questo faccia parte della definizione di Non è un vento amico. Un romanzo della lunghezza giusta, con tempi a volte dilatati, ma senza una parola di troppo. L’autore a tratti si ferma e, con brevi incisi, porta volutamente il lettore fuori dal romanzo, per dargli modo di prendere le distanze dalla narrazione, respirare la distanza con la realtà romanzesca, reinventando con originalità la complicità tra autore e lettore. 
A fargli torto potrei dire, con formula abusata quanto sciocca, “Non è un vento amico è un romanzo che si legge d’un fiato” (e lo è davvero!), ma mi sento di dire piuttosto: “È un romanzo da assaporare come una musica, lasciandosi tutto il tempo di farlo decantare nella propria immaginazione”.

Maria Eugenia Capodicasa

Per ulteriori informazioni, o per acquistare il libro, vieni alla pagina di Non è un vento amico.

lunedì 20 aprile 2015

Nascosto tra gli scaffali

La curiosità era troppa. Così stamattina ho preso il primo volo e, dopo essere atterrato a Bergamo, ho raggiunto in autostop Negrar.
Come in altre occasioni, ho preferito dissimularmi: arrivato alla biblioteca comunale con largo anticipo, mi sono confuso tra le colonne di libri e ho atteso. In quelle due ore, oltre a sfogliare qualche testo degno di nota, mi sono chiesto come sarebbe andato l’appuntamento sull’etica di L’uomo il suo interrogarsi e il senso del meraviglioso, che ormai era arrivato alla sua terza puntata. 
Qualcuno si chiederà come mai non abbia voluto palesare la mia presenza. Presto detto: sono stato professore di Claudia Maschio ai tempi in cui frequentava l’università e, tra noi, è rimasto un rapporto di reciproca stima intellettuale. Una stima quasi eccessiva da parte sua, devo dire, e quindi temevo che, sapendomi lì, mi avrebbe ceduto il passo, e io volevo sentire cosa aveva da dire lei, non le solite cose che posso raccontarmi benissimo anche da solo.
Poco a poco sono arrivati tutti, relatori e pubblico.
Franco Ceradini, che non ho avuto l’onore di conoscere di persona, ha introdotto l’argomento parlando di Kant e, per contrappunto, di Hume. Con grande scioltezza, si è mosso dall’uno all’altro, portando anche esempi pratici di dove andava a cozzare la filosofia del primo, rivolgendo accese simpatie al secondo.
Cerchiamo di capirci: Kant è un razionalista, Hume un empirista. Stiamo parlando di fantasmi del passato. Oggi nessuno potrebbe credere solo nella ragion pura del primo o affidarsi ciecamente al dato osservativo del secondo. Si sa che la conoscenza si muove amalgamando le due cose, non fosse altro perché la matematica è fondamentalmente razionale e la scienza se ne avvale per testare i risultati delle osservazioni empiriche. 
Certo, quando si ha a che fare con le argomentazioni morali, sembra di muoversi in quel terreno di nessuno che sono i valori, ossia elementi che non si prestano a osservazione alcuna.
O almeno Hume sosteneva questo. Non a torto: perché – e qui entriamo nel vivo dell’intervento di Claudia Maschio – effettivamente non possiamo derivare i valori dalle nostre osservazioni. Come minimo per una questione logica, giacché nelle conclusioni comparirebbe un elemento (l’obbligo morale) non presente nelle premesse.
Ma il comportamento umano è riducibile solo a ciò che possiamo osservare? O quel che dobbiamo osservare comprende anche il non direttamente osservabile, ossia intenzioni, scopi, motivazioni che stanno dietro un’azione?
Ed è vero, come sosteneva Hume, che l’agire morale si basa sui sentimenti e non sulla ragione?

Non voglio anticiparvi troppo, anche perché so che il blog di Vocifuoriscena intende pubblicare un articolo con l’intero resoconto della conferenza. 
Mi soffermo solo su ciò che più mi ha colpito. A un certo punto, Claudia Maschio ha proposto una sua personale, sebbene meditata, scala di valori.
Cos’è una scala di valori è facile da immaginare: uno pone al vertice il valore che ritiene superiore a tutti gli altri e, a scendere, quelli che seguono, in un preciso ordine.
Nascosto dietro gli scaffali, poco a poco iniziavo a comprendere dove Claudia stesse andando a parare: ovviamente, non stava proponendo dei dogmi, ma un esempio di razionalità morale basata sull’esperienza. Ossia, un’applicazione del metodo scientifico all’etica. 
«Metto al vertice il rispetto della vita, in tutte le sue forme» ha esordito, «e ben sapendo che non ci sia alcun fondamento per farlo. È l’esperienza della convivenza civile, di quel che funziona, a suggerirmelo. In qualche modo, i nostri valori diventano prioritari vuoi perché ci sono stati trasmessi come veri, vuoi perché, dopo averli messi in discussione, li abbiamo ancora una volta riconosciuti, oppure sostituiti con altri che ci sembravano più adeguati.»
Ovviamente, ho estrapolato qua e là dai suoi discorsi. Vi sto riportando il succo. E su qualche punto sto ancora meditando, ma è questo il bello delle proposte coraggiose e intelligenti: ti dànno qualcosa di gustoso in cui affondare i denti. 
Al primo posto della scala di valori c’era il rispetto della vita, al secondo l’onestà/verità, al terzo il rispetto per la libertà propria e altrui, al quarto il rispetto per la legge e, all’ultimo gradino, il bon ton (che – come ha specificato Claudia – in realtà non ha nulla a che vedere con l’etica).
Sulle prime, a tutti questa scelta è sembrata arbitraria. Poi, più il discorso andava avanti, più si capiva che – se davvero si trattava di un esempio – era un esempio coi fiocchi. 
Sempre nascosto tra gli scaffali ho ascoltato il resto dell’esposizione, complimentandomi con me stesso per l’ottimo lavoro fatto su di lei quando ancora era una ragazzina, sebbene una ragazzina con un piglio già molto particolare.
E, via via che proseguiva, vedevo sempre più trionfare, nell’applicazione di giudizi pratici, la razionalità unita all’esame dell’esperienza: non ha risparmiato Breivik, responsabile di un’inutile quanto feroce strage in Norvegia, e con lui Giardiello, pluriomicida nel tribunale di Milano, e Lubitz, solo per restare a fatti di cronaca recente. Ma soprattutto si è scagliata contro le guerre, specie se condotte in nome della pace, citando i versi di Bertolt Brecht:

La guerra che verrà
non è la prima. Prima
ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima
c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
faceva la fame. Fra i vincitori
faceva la fame la povera gente
egualmente.

E non sono mancati gli accenni alla letteratura, con la visione di alcuni spezzoni tratti da una rappresentazione teatrale di Delitto e castigo.
«Dostoevskij era un ottimista. Nel senso che Rodion Raskol’nikov, dopo il suo terribile crimine, si pente. Si tortura interiormente e finisce per consegnarsi nelle mani del commissario Porfirij di propria volontà. Nella realtà, purtroppo, pochi si pentono delle atrocità compiute e vivono il tormento pieno del rimorso, magari chiedendosi – come fa Raskol’nikov – cosa possa riscattarli.»
Un’umanità senza possibilità di recupero?
Secondo Claudia Maschio forse sì. Ma non per questo smetterà di andare avanti per la sua strada, seppure senza rivoluzioni. Questo mi ha confidato quando alla fine mi ha scoperto: «Motivi per essere sfiduciati ce ne sono fin troppi. Sai, Oliviero, perché tengo questi incontri di filosofia, e gratis? Perché spero che quelle poche persone che vengono ad ascoltare siano stimolate a usare le loro teste. Hume aveva ragione. Ma il suo, alla resa dei conti, si configura come un suicidio intellettuale».
«Un suicidio intellettuale?» le ho chiesto io.
«Hume aveva ridotto l’etica alle impressioni del momento, ai sentimenti, alle passioni. Ma solo la razionalità, quella tanto cara a Kant, può dare una svolta all’etica, altrimenti ci ritroviamo ad assorbire dogmi, non valori. Un dogma è qualcosa che hai ereditato dall’esterno, che hai assorbito per osmosi, da cui sei condizionato senza una tua vera scelta. Un valore è tale solo se ci pensi sopra, se lo hai rivoltato come un guanto prima di farlo tuo, trasformandolo in un imperativo categorico nelle tua vita.» 
Poi qualcuno l’ha chiamata, lei voleva presentarmi, ma io le ho fatto cenno di no: molto meglio restarmene tra gli scaffali e accomodarmi per la notte su un divanetto, visto che, tra una cosa e l’altra, avevo dimenticato di prenotare un albergo. Fretta non ne avevo, e in biblioteca c’erano un sacco di bei libri per passare il tempo.

mercoledì 1 aprile 2015

"Il bove Pio alla stazione d'autunno", romanzo giovanile di Giosuè Carducci

Con un vero e proprio scoop editoriale, la piccola casa editrice Vocifuoriscena propone la prima edizione assoluta di un romanzo giovanile di Giosuè Carducci, riscoperto dal professor Oliviero Canetti all'interno della fodera di una cartellina esattoriale abbandonata dal 1885 negli archivi della vecchia biblioteca scolastica di Castelsardo, in provincia di Sassari.
«Praticamente ritrovato in un nurago!» scherza Canetti nel corso di un'affollata conferenza stampa tenutasi nell'aula magna della facoltà di lettere, all'Università di Sassari, dove il professore ha tenuto cattedra per molti anni. «Certamente, alla luce di questa scoperta, dovremmo rivedere l'intera biografia carducciana. Capire come e perché, in una fase precoce del suo percorso letterario, il Carducci abbia abbandonato il romanzo per dedicarsi alla poesia.»
Per quanto pecchi di qualche ingenuità, infatti, Il bove Pio alla stazione d'autunno è un capitolo prezioso nella grande stagione del romanzo ottocentesco europeo. Scritto tra il 1844 e il 1850, si avvertono profonde suggestioni romantiche, che rimandano a evidenti letture del Goethe e di altri tedeschi, ma sono anche presenti elementi simbolisti e stilistici che preludono addirittura all'iconografia del primo Novecento.




«La struttura è quella del Bildungroman, sebbene il romanzo manchi di un vero e proprio centro narrativo. L'economia della trama, tuttavia, rivela un istinto sorprendente nella composizione dell'intreccio e nell'introspezione psicologica, anche vista la giovane età del Carducci, praticamente in età scolare» ride Canetti. «Ci vorranno anni affinché i nostri critici letterari possano trarne un giudizio complessivo equilibrato.»
La trama del romanzo è piuttosto lineare. Un cacciatore sta sull'uscio a rimirar un bove, indeciso se sparargli e farne bistecche, quando un poeta (nel quale si ravvisa il giovane Carducci) interviene a difendere l'animale. Nel corso della colluttazione, il bove fugge dai pascoli liberi e fecondi e s'inerpica sugli irti colli mentre il cacciatore gli va sparando a sale. Ma il poeta, ammirando il bovino indugiare, solenne come un monumento, alle fonti del Clitumno, ricorda nonna Lucia e la sua infanzia a Bolgheri, dove nessuno era vegano, nemmeno san Guido, e dove i bovi maremmani al giogo s'inchinavano contenti, con gran soddisfazione degli allevatori che non dovevano convincerli con idilli locali e stupide dichiarazioni d'amore. Il romanzo si conclude in un sentito e sofferto afflato politico: dodici bovi si suicidano in duplice filar per protestare contro i moti del '48. I placidi ruminanti vengono sepolti tra pianti antichi: sei nella terra fredda e altri sei nella terra negra.
Un romanzo da leggere in stazione, possibilmente in autunno. In esclusiva su
Vocifuoriscena.

lunedì 2 marzo 2015

L'uomo, il suo interrogarsi... e il senso del meraviglioso

A partire da venerdì 6 marzo 2015, alla Biblioteca comunale di Negrar (VR) si terrà una serie di cinque incontri di approccio alla filosofia tenuti dal professor Franco Ceradini e da Claudia Maschio. L'uomo, il suo interrogarsi... e il senso del meraviglioso.
Organizza l'Assessorato alla Cultura con la collaborazione di Vocifuoriscena.

Il calendario degli incontri è il seguente:
06 marzo. Cos'è la filosofia e perché è utile al giorno d'oggi
20 marzo. Il nostro posto nell'universo
17 aprile. Cosa è giusto e cosa è sbagliato
08 maggio. Il tema della differenza come valore
29 maggio. Alla ricerca dell'insostenibile leggerezza del romanzo


Non solo l'ingresso è libero e gratuito, ma seguirà un filosofico aperitivo finale.




Per tutti gli interessati, il primo appuntamento è venerdì 6 marzo alle 17,30, per scoprire Cos'è la filosofia e perché è utile al giorno d'oggi.


Per saperne di più —› biblioteca@comunenegrar.it

sabato 24 gennaio 2015

Librerie Online?

Librerie online? Convengono?
Per quanto riguarda Vocifuoriscena, la risposta è no! 
E ora vi spiego perché.

Le librerie online (d'ora in poi L.O.) sono assai ben organizzate, assai più di noi, piccoli editori che arrancano per arrivare alla fine del mese. Voi andate su IBS, Amazon, Sansoni et similia, cercate un libro, qualsiasi libro (compresi i nostri), e li trovate lì, belli fiammanti e disponibili. 
Questi giganti della vendita online sono collegati con l’archivio dei libri in commercio e scaricano regolarmente le schede che vi abbiamo inserito noi editori quando abbiamo richiesto un codice a barre. Infatti, quando un editore pubblica un libro, crea una nuova scheda sull'archivio nazionale e nel giro di poche ore titolo, copertina e prezzo sono già sulle piattaforme delle L.O.
Non pensate però che le L.O. abbiano, nei loro gargantueschi, pantagruelici magazzini, le copie cartacee, fisiche contingenti e materiali di tutti i libri in commercio. Ne avranno molti, certamente moltissimi. Ma non quelle di noialtri piccoli editori pezzenti e indipendenti. 



Dunque, che cosa succede quando ordinate un nostro libro su IBS, Amazon et similia?
  1. Andate sul sito della L.O., scegliete il libro che vi piace e date l'ordine di acquisto.
  2. La L.O. riceve l’ordine e ordina il libro a noi.
  3. Noi prendiamo il libro, ne facciamo un bel pacchetto, ci mettiamo sopra il nostro timbro e glielo spediamo.
  4. La libreria online riceve il nostro pacco, lo scarta, tira fuori il libro, ne fa un altro pacco, ci mette sopra il suo timbro e lo spedisce all’acquirente.
Tutto ciò senza tener conto di una trafila burocratica, tra uffici e magazzini, documenti e fatture, che nemmeno Kafka nei suoi incubi peggiori ha mai osato immaginare. Una stima dei tempi di consegna? Due settimane minimo. Poi, se avete richieste particolari, dovete seguire le loro trafile, i loro form a risposta multipla, le loro offerte standardizzate; se avete problemi, i loro telefoni hanno tempi di attesa non indifferenti (sebbene rallegrati dalle prime battute della Primavera di Vivaldi). 
Inoltre (annotazione personale, intima, ma va doverosa), la L.O. a noi ci paga, se proprio va ricca, dopo novanta giorni, peraltro tenendosi il grosso del guadagni e lasciandoci le briciole.
E ora vediamo che cosa succede se ordinate da noi.
  1. Andate sul sito di Vocifuoriscena, scegliete il libro che vi piace e cliccate il bottoncino PayPal.
  2. Nel giro di qualche ora vi scriviamo per confermare l’ordine.
  3. Poi prendiamo il libro, ne facciamo un bel pacchetto, ci mettiamo sopra il nostro timbro e il giorno dopo (o anche il giorno stesso) siamo già a far la fila all’ufficio postale per spedirlo.
Tempo stimato: una settimana. O comunque, una settimana in meno rispetto a un ordine fatto alle L.O. Senza spese di imballaggio o di spedizione. 
Poi, se avete problemi, se avete richieste precise, se avete cambiato idea, se volete parlare con un'anima amica, basta fare il numero di telefono di Vocifuoriscena, che è su tutte le pagine web del sito e trovate dall'altra parte un essere umano lì a rispondervi. 
A volte quell'essere umano sono io.
Ora mi par d'immaginare le obiezioni del solito Qualcuno: “Sì, ma la L.O. ci fa il dieci, quindici per cento di sconto! E ci regala pure un panino al prosciutto!”
Bene, forse non lo avete notato, ma anche noi vi facciamo il 15% di sconto. Vocifuoriscena propone a tutti i suoi utenti il “Prezzo VSF”, che è appunto il prezzo di copertina scontato del 15%.

Insomma, se avete deciso di comprare il libro, tanto vale comprarlo direttamente da noi!


PS. Un'ottima alternativa all'acquisto presso di noi potrebbe essere quella di rivolgervi al vostro libraio di fiducia. Segnalategli il nostro sito e invitatelo a telefonarci. Saremo noi a inviare il libro direttamente a lui, con gli stessi tempi se il libro arrivasse a casa vostra. Tanto vale difendere gli ultimi piccoli librai indipendenti prima che gli squali delle L.O. finiscano di sbafarsi tutto il mercato…